Rito Romano XVIII: Lemuria 9-11-13 maggio

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Il rito per i Lemuria è un oscuro ed antichissimo rito che serviva per scacciare i defunti in questio periodo durante il quale ritornavano nel mondo dei vivi

La festa dei Lemuria ha origini dal tempo di Romolo, infatti dopo aver ucciso Remo il fantasma di questo continuava a comparirgli insanguinato e orribile innanzi, e lo tormentava. In fine comparì anche ai suoi genitori adottivi, Faustolo ed Acca, e con queste parole li pregò:
<Ecco guardate quale sono, e pensate prima qual ero!
Io metà e parte uguale del vostro affetto.
Io che poc’anzi, se gli uccelli avessero assegnato a me il regno, avrei potuto essere sovrano del mio popolo, ora sono una vuota immagine sfuggita alle fiamme del rogo:
Ecco il simulacro che resta di quel che fu Remo!
Ahimé, dov’è il padre Marte) Se voi in passato diceste il vero, e se egli a noi abbandonati concesse il latte d’una fiera.
Quegli che la lupa salvò, ora è perduto per temeraria mano d’un cittadino.
Oh, quando quella fu più umana di lui!
Oh crudele Celere, possa tu perdere la tua vita spietata per ferire, come me, e andare insanguinato sotto terra.
Non voleva questo mio fratello, l’affetto era uguale in entrambi:
egli dedicò ai Mani le sue lacrime, quel che poteva offrire.
Per questo vostro pianto, e per gli alimenti con i quali li sostentaste, pregatelo che renda solenne un giorno in mio onore>

e perciò Romolo istituì tale festa col nome di Remoria. L’evoluzione linguistiva l’avrebbe tramutata poi in Lemuria.[1]

Durante questa festa infatti, i Lemures invadono il mondo dei vivi <ombre vaganti di uomini morti anzitempo, di cui quindi bisogna aver timore> [2]

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È interessante fare un confronto tra quello che sono i Lemuria e l’altra festa dei morti che abbiamo trattato sulla nostra pagina FB, i Parentalia.
Infatti ai Parentalia sono i vivi che vanno a trovare i morti e li chiamano parentes (antenati), mentre in questo caso sono i morti che vengono a trovare i vivi.
È chiara tuttavia la differenza: quando i vivi vanno a trovare i morti, questo avviene come forma di rispetto e commemorazione, nel rispetto dell’ordine naturale delle cose (la separazione tra mondo dei vivi e mondo dei morti). Invece quando ai Lemuria sono i morti a tornare, essi lo fanno in modo “empio”, essi violano i confini tra mondo dei vivi e mondo dei morti, e perciò vanno scacciati per ristabilire l’ordine naturale delle cose. Inoltre, trattandosi di uomini morti anzitempo, forse potrebbero essere in cerca di vendetta, e per questo disturbano i vivi.

Anticipiamo un particolare del rito che ci crea un poco di confusione: i Lemuria sono dedicati ai Lemures, ma nel rito Ovidio (vedi sotto) riporta la formula Manes paterni. I Manes sarebbero gli antenati in generale, quelli che vengono venerati sulle tombe. Moltissime iscrizioni sepolcrali, o altari, riportano la formula “ai mani di Tal dei Tali”, ai quali si facevano offerte e risultano perciò neutri o positivi. Invece in questo caso risultano negativi.
Le interpretazioni possibili sono due: se Ovidio è preciso nel riportare il rito, allora deve esserci un legame tra Lemuri e Mani che ci sfugge, e che tuttavia pare strano considerando la precisione di termini che i romani hanno sempre utilizzato. Se invece Ovidio è superficiale nel riportare questo rito, allora potrebbe aver scritto Manes anziché Lemures, confondendoli là dove Mani e Lemuri sono diversi, ma non abbiamo fonti più precise che ci permettano di distinguerli.
Tutto questo rientra nel problema di stratificazione culturale e delle fonti, che fa si che le varie “divinità” legate ai morti non siano chiaramente distinguibili, ne abbiamo già parlato qui e qui. Per quanto concerne i Mani pubblici un accenno lo trovate qui.

Questi giorni di Lemuria sono considerati nefasti, infatti compare la lettera “N” sui calendari ad indicarne la qualità. Inoltre Ovidio ci precisa che i Templi venivano chiusi in segno di lutto, ad indicare che non si potevano compiere riti come normalmente (sarebbero perciò più propriamente da considerarsi dies religiosus se non per l’assenza di un chiaro divieto), infatti era sconsigliato compiere matrimoni poiché chi si sposava in quei giorni perdeva la moglie in poco tempo (ma non era vietato). E ancora il popolo considerava che in generale a Maggio si sposano solo le cattive donne. (Sempre Ovidio ne parla).
Questa tradizione sussiste ancora oggi, infatti si sconsiglia di sposarsi nel mese di Maggio. Maggio, Maius, il mese consacrato ai Maggiori, cioé gli antenati.

Tuttavia la festa dei Lemuria si inserisce in un più ampio ciclo di altre feste:
7/05 None, Semus Sancus;
8, 10, 12/05 [3] le tre Vestali anziane raccolgono il farro, lo mietono, e lo abbrustoliscono. Questo Farro verrà poi macinato ed utilizzato per fare la mola salsa nell’occasione dei Lupercalia, dei Vestalia e delle Idi di Settembre [4]
9, 11,13 Lemuria
14 Argei
15 Idi

Risulta troppo lungo e poco adatto a questa sede una disamina dell’intero ciclo festivo, risultava per noi importante sottolineare questo collegamento, e che trattasi di un momento centrale, un punto nodale dell’anno. [5]

E adesso veniamo al rito come ce lo descrive Ovidio, nostra unica fonte a riguardo [6]:


Chi è memore dell’antico rito ed ha timore degli Dèi si alzerà a mezzanotte, nel silenzio, avrà i piedi scalzi, farà il gesto della mano fica affinché un’ombra impalpabile non si faccia incontro a lui silenzioso.
La mezzanotte è quasi certamente la mezzanotte del 9 dell’11 e del 13, ovvero a metà della notte tra l’8 e il 9, tra il 10 e l’11, e tra il 12 e il 13. Chi utilizzerà il calendario più antico potrà indubbiamente considerare non la mezzanotte civile, bensì il momento di mezzo tra il tramonto e l’alba.

Nei giorni precedenti avrà preparato dell’acqua di fonte per le abluzioni, e nove fave nere. Si è a lungo discusso su cosa siano precisamente queste fave nere, l’interpretazione che ci pare di maggior veridicità è quella che siano fave marcite, sono piccole e nere, e si trovano all’interno del frutto della fava. Statisticamente se ne trovano una dozzina dentro un chilo di fave, perciò si consideri il tempo necessario a sbucciarle.
Inoltre avrà preparato dei bronzi, di bronzo (e non di altro materiale) che si dovranno far suonare.
Esiste anche una varietà di fave che nascono nere, tuttavia dovendole tenere risulta molto difficoltoso per via delle dimensioni, di qui la nostra conclusione.
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Giunti nel luogo del rito (presumibilmente il Larario) si faranno le abluzioni in acqua di fonte, si coprirà il capo come è usanza nel rito romano, e con una mano si continuerà a fare la mano fica (presumibilmente la destra, vedi foto), e con l’altra (presumibilmente la sinistra, trattandosi di divinità infere) si compirà l’offerta come segue.
Tenendo in bocca le nove fave [7] ci si aggirerà per casa recitando:

<haec ego mitto, his redimo meque meosque fabis>
cioé
<Queste io lancio, e con esse redimo me ed i miei congiunti>

Quindi si prenderà una fava dalla bocca, e la si getterà alle spalle.
Lo si farà per nove volte.
Un’ombra, non vista, seguirà raccogliendo le fave.

Si badi bene a tenere innanzi a se la mano fica, queste divinità non hanno genitali, e perciò li temono, in questo modo non vi si pareranno davanti. Si dice che coloro ai quali compaia davanti un Lemure impazziscano.

Tornati dove si era iniziato si compiranno di nuovo le abluzioni, poi si faranno suonare i bronzi. Infatti il suono forte del bronzo allontana gli spiriti [8].

Poi ripeterà fermamente, per nove volte, la formula:
<Manes exite paterni>
cioé
<Mani dei miei padri, uscite!>

Quindi ci si gira, e si giudicherà il rito compiuto con purezza.

Allora tornerete a dormire.

Lasciate passare una giornata intera, e spazzate il pavimento, contate le fave rimaste, se il rito è stato compiuto correttamente saranno sempre meno di quante ne avete usate nel rito.

Emanuele Viotti

 

 

NOTE:

1 Pomponio Porfirione, ad Hor. Epist. 2,2 e Ovidio, Fasti, V,450ss.
2 Pomponio Porfirione, ad Hor. Epist. 2, 2, 209.
3 si noti che questa è una nostra interpretazione dettata da quanto detto sulla qualità del giorno dei Lemuria, ma la fonte (vedi nota 4) è imprecisa, e potrebbe anche intendere gli stessi giorni dei Lemuria.
4 Serv., ad Ecl. 8,82.
5 per una disamina generale si rimanda a “La Religione di Roma Antica” di Dario Sabbatucci, pag.165.
6 Ovidio, Fasti, V,420ss
7 Anche questa è un’ipotesi sostenuta dall’impossibilità di reggerle con la mano che fa il gesto apotropaico e che tuttavia compare, sempre a proposito di fave nere e culti dei morti in ibid. II,577
8 per l’uso rituale del bronzo si veda anche Macrobio, Saturnalia, V, 19,7

 

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